Lavorare da casa. Il sogno di molti. La realtà di pochi. Almeno in Italia, dove solo il 3.9% dei dipendenti è un telelavoratore, contro una media europea che si aggira attorno all’8%. Eppure diverse ricerche (tra cui una della prestigiosa Stanford University) hanno evidenziato come i dipendenti che lavorano da casa risultino maggiormente produttivi, meno stressati e più legati alla propria azienda. Ma mentre in Italia la realtà del telelavoro non è stata mai né incisiva né diffusa, in paesi come gli Stati Uniti molte aziende negli ultimi anni hanno permesso (e spesso incentivato) che i propri dipendenti lavorassero da casa loro. Dal 2005 il telelavoro è cresciuto del 75% negli USA. Da un lato meno costi strutturali, dall’altro un dipendente meno stressato (niente più traffico da affrontare, sveglie ad orari improponibili, pranzo a base di panini presi in mensa…), meno distratto e più felice.
Tuttavia pochi giorni fa un fulmine a ciel sereno ha turbato la realtà del telelavoro. La CEO di Yahoo, Marissa Mayer, ha deciso che entro giugno tutti i telelavoratori dovranno tornare a lavorare fisicamente in azienda. Fine del lavoro da casa. La motivazione? Un laconico “ Questo è quello che è giusto per Yahoo ora”. Questa decisione, che rigarda circa 700 dipendenti dell’azienda, ha scatenato le reazioni di molti. La rete ha raccolto i commenti scatenati da questa decisione che, secondo molti, potrebbe rappresentare l’inizio della fine del telelavoro. Molti hanno duramente criticato questa strategia di Yahoo. Ad esempio il fondatore del gruppo Virgin, Richard Branson, si è apertamente opposto a questa idea, dichiarando che gran parte del successo di un’azienda dipende dalla fiducia che si ripone dei propri dipendenti, confidando che essi svolgano il proprio lavoro ovunque si trovino e senza controllo. Contro questa decisione è stato inoltre fatto notare come il personale improduttivo sarà improduttivo dovunque esso lavori ed inoltre una politica aziendale che parla di controllo e di sfiducia difficilmente riuscirà ad alzare il morale e l’impegno dei suoi dipendenti. Sarah Evans, a capo di una società di consulenza di pubbliche relazioni, fa notare nel suo blog come ogni anno in USA si perdono circa 1.400 miliardi dollari di produttività, indipendentemente dal luogo in cui un lavoratore lavora fisicamente. Secondo la Evans la priorità di una società dovrebbe essere quello di trovare un modo migliore di lavorare e non dire alle persone dove debbano lavorare.
Ma ci sono state anche molte prese di posizione a “favore” della scelta di Yahoo. Un importante endorsement è arrivato dall’imprenditore Donald Trump, favorevole a questa idea. Altri hanno fato notare come l’interazione personale soa ancora il modo più efficace di comunicare e trasmettere lo spirito di una società. E una società che si vuole rinnovare e rilanciare deve tornare ad avere quello spirito tipico delle start-up, con persone che affollano i corridoi e gli uffici dell’azienda, pranzano insieme, discutono dei problemi faccia a faccia e, dall’incontro fisico dei dipendenti, nascano nuove idee, strategie, soluzioni.
E voi che ne pensate? Un’azienda può produrre di più se tutti i suoi dipendenti son nello stesso “spazio fisico” o se i dipendenti hanno maggiore flessibilità (ad es. sul luogo e orario di lavoro) e libertà d’azione?