Usare il corpo come un leader: gli strumenti per una leadership consapevole

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Usare il corpo come un leader: gli strumenti per una leadership consapevole

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In questo articolo approfondirò un insieme di strumenti tratti dalle neuroscienze che possono fare la differenza per chi ricopre ruoli apicali nelle imprese e desidera rendere più efficace la propria leadership.

Chi ricopre un ruolo di Leadership si trova spesso in una condizione di responsabilità, in cui è solo a dover gestire nel migliore dei modi un contesto complesso e imprevedibile, è sottoposto/a a un peso di aspettative e sente che tutto dipende dalla propria efficacia. In genere la questione non è se possediamo le giuste competenze – quasi sempre possono essere reperite – ma se siamo nelle condizioni fisiche e mentali per accedere ad esse nel migliore dei modi.

Alan Weiss affermava che  se ci fosse un solo elemento sul quale fare leva per il successo di un’organizzazione, questo sarebbe senz’altro la qualità della leadership.

Non è un caso che in questi decenni sia fiorita una quantità sterminata di modelli descrittivi e prescrittivi di come dovrebbe essere il leader di successo.

Il problema è spesso rintracciare ciò che può fare davvero la differenza per ognuno di noi in posizione di leadership.  

Per questo motivo, nel mio lavoro di affiancamento ai processi di Change Management delle aziende, ho sempre cercato di affrontare il tema della leadership da un punto di vista pragmatico chiedendo: “Qual è l’impatto che vuoi raggiungere e cosa serve davvero?”; ho trovato questo approccio più funzionale rispetto al ricorrere a scintillanti modelli omnicomprensivi precostituiti. 

Da questa esperienza deriva l’argomento che esplorerò in questo articolo: se ci fosse un tratto determinante per il successo del leader, questo non sarebbe costituito da una particolare competenza, ma da una metacompetenza. Sto parlando di auto-efficacia, ossia della capacità di accedere al proprio potenziale nel momento del bisogno. Dopo avere dato un inquadramento più preciso a questo tema, procederò nell’approfondire il ruolo del nostro corpo in tutto questo e nell’illustrare alcuni strumenti pratici di immediata efficacia.

Vincere da dentro” per essere leader efficaci

Se consideriamo il piano delle competenze necessarie per un leader, è abbastanza evidente che queste cambiano a seconda del ruolo specifico ricoperto, del modello organizzativo e, anche, delle situazioni specifiche.

Spostando l’attenzione sul piano delle metacompetenze – ossia quei tratti della persona che permettono al leader di attivare efficacemente le competenze – troviamo invece una maggiore stabilità. Ad esempio su questo piano troviamo la capacità di apprendere e, aggiungo facendo riferimento a precedenti articoli che ho scritto, alla capacità di far apprendere le persone della propria organizzazione. Non a caso questa metacompetenza la si ritrova in ogni lista delle 10 risorse per il futuro. Più il mondo diventa complesso e più diventa essenziale saper evolvere, saper apprendere nuove cose, essere aperti al cambiamento acquisendo di volta in volta le risorse che servono.

L’altra metacompetenza chiave è la capacità di essere efficaci nelle competenze che già si possiedono.

Ariel Fox, imprenditrice e autrice del best seller Winning from within’, dopo aver lavorato per anni ad altissimi livelli e  in tutto il mondo sullo sviluppo delle competenze di negoziazione (Harvard), è giunta a questa conclusione: per le persone che ricoprono posizioni chiave nelle organizzazioni, il tema vero non è tanto la competenza. Il vero tema è rimanere in uno stato di efficacia che permette di ottenere il massimo risultato da quelle competenze.

Quando un amministratore delegato si trova davanti alla platea di azionisti vuole evitare che la tensione si manifesti in ipersudorazione, in vuoti mentali o altro che possa inficiale la sua presentazione; vuole essere coinvolgente e arrivare diretto alla pancia e alla testa delle persone. Sa come farlo. Lo sa perfettamente. Ha provato innumerevoli volte quella presentazione, sa come deve usare la voce e quali parole dire. Ma lo stato neurofisiologico può dirottare il cervello verso uno stato di parziale o totale inefficacia. Quando la Fox parla di ‘Vincere da dentro’ si riferisce proprio a questo.

Perché la via del corpo per una leadership carismatica

Riprendendo proprio questo esempio della presentazione pubblica, abbiamo una immediata comprensione del fatto che in certe situazioni è il nostro stato neurofisiologico che tende a boicottare la nostra performance. E tutti sappiamo che non è facile agire tramite la mente per cambiare la mente.

Quando ad esempio siamo distratti e invece dovremmo concentrarci su un compito importante, è evidente che non è sufficiente imporci mentalmente di ritrovare la concentrazione e di aumentare la nostra motivazione.

Non serve ripeterlo mentalmente, esattamente come uno stato di ansia non si riduce autoconvincendosi di stare calmi. Gli stati fisiologici invece si attivano agendo direttamente sul corpo.

Nei prossimi paragrafi farò una serie di esempi tratti principalmente da due fonti: da una parte la metodologia IBP (Integrating Body-Mind Potential) sviluppata nel nostro istituto di counseling a partire dal modello di J.L Rosenberg e, dall’altra,  le più recenti scoperte neuroscientifiche che confermano le intuizioni del grande scienziato e le ampliano con strumenti pratici molto utili. Molte tecniche corporee si riescono a spiegare bene solo in presenza, mostrandole con l’esempio; risulta difficile invece descriverle con esattezza verbalmente. Per questo motivo ne ho scelte solo alcune secondo un criterio di semplicità e di immediatezza del risultato che si può ottenere.

Leadership e management: usare il respiro per dominare il sistema nervoso

Il respiro è considerato la porta di congiunzione tra la nostra volizione e i nostri processi autonomici (e quindi non controllabili direttamente – nel senso che non possiamo decidere di aumentare deliberatamente il nostro livello di adrenalina o testosterone)

Se leggendo questo hai già immaginato lunghe sessioni di Pranayama a gambe incrociate, forse ti stupirò.

Prova a fare questo: inspira completamente e quando ti senti pieno di aria, inala ulteriormente portando un’altra frazione di aria dentro ai tuoi polmoni; poi espira lungamente, con calma, senza spingere il fiato ma lasciando uscire l’aria liberamente; se puoi – ossia se non sei circondato da altre persone che possono allarmarsi per questo tuo bizzarro comportamento- emetti un suono: “Ahhhhhhhh” lasciando che vibri nel tuo petto. Basta. Al limite lo puoi ripetere due volte.  Questo sospiro volontario è sufficiente per riportare alla base uno stato di iperattivazione (simpatica) del tuo sistema nervoso. Ci sono dei momenti, e lo puoi sentire, in cui sei sovraccarico:  in questi momenti la tua efficacia dipende dal ridurre quell’eccesso di tensione e lo puoi fare in questo modo. 

Ci sono altre volte in cui questo rilassamento è fondamentale per predisporti ad uno stato di maggiore creatività. Infatti, mentre ci sono dei compiti che richiedono focalizzazione, altri – un’attività di problem solving, la generazione di un’idea nuova, la relazione empatica con un interlocutore- richiedono una maggiore attivazione del sistema parasimpatico; ossia richiedono di rilassarsi. In questi casi non vuoi rilassarti perché hai una tensione troppo alta ma perché hai bisogno di portare il tuo cervello ad una dimensione di maggiore apertura.

Ci sono altri momenti in cui invece il tuo stato di base può essere troppo rilassato, distratto, scarico, rispetto al compito. In questo caso il respiro che puoi adottare è fondato sul principio neurofisiologico secondo il quale il respiro accelerato aumenta la produzione di adrenalina. Non hai bisogno di pastiglie magiche: prova con 5 respiri accelerati e sentirai un effetto che puoi calibrare aggiungendo eventualmente altri respiri.

Usare gli occhi

Alcune recenti ricerche neuroscientifiche offrono conferme molto interessanti sull’utilizzo degli occhi per produrre effetti simili. In particolare quando focalizziamo lo sguardo su un punto tendiamo ad aumentare la nostra attivazione simpatica, quindi la capacità di concentrarci, di focalizzarci, di essere orientati verso un obiettivo. Già, perché per raggiungere gli obiettivi non è sufficiente scriverne una lista ma serve mobilitarsi, fisicamente e intellettualmente verso essi esattamente come un leone o una gazzella si devono muovere per raggiungere il corso d’acqua.

Non è un esempio casuale quello che faccio: lo stimolo interno della sete tende ad innescare quelle condizioni neurofisiologiche (neuromodulatori come dopamina e epinefrina) che servono a spingere l’animale verso la soddisfazione del bisogno. Purtroppo, molte attività lavorative non scatenano da sole questa irresistibile pulsione all’azione. Ad esempio abbiamo appena fatto una pausa e saremmo stati volentieri ancora in pausa; se a quel punto invece sappiamo di doverci concentrare verso un obiettivo importante, possiamo dedicarci qualche minuto a focalizzare gli occhi verso un bersaglio vicino a noi. Questo puro esercizio meccanico produce dei neuromodulatori che possono supportare l’effetto di un doppio caffè. 

Questo meccanismo automatico spiega lo stress vissuto a livello fisico da chi è impegnato per tante ore a fissare uno schermo. Lo sguardo, fortunatamente, può essere anche utilizzato per ridurre la tensione e aumentare il rilassamento. Lo scoprì empiricamente la psicoterapeuta Shapiro quando si accorse che, pensando a un evento traumatico del proprio passato mentre passeggiava nel parco dell’Università, sentiva alleggerirsi il carico emotivo. In effetti la passeggiata in uno spazio aperto, oltre ad portare altri benefici, è caratterizzata da un movimento oscillatorio inconsapevole dell’occhio. Se non puoi fare una passeggiata nel parco o in riva al mare, dalla finestra del tuo ufficio puoi comunque guardare verso l’orizzonte defocalizzando lo sguardo e questo indurrà un rilassamento a livello neurofisiologico. Il suggerimento è quello di defocalizzare lo sguardo per un certo tempo, finché non ne senti il beneficio, tra un compito e quello successivo.

Usare tutto il corpo

A volte il livello di attivazione è davvero eccessivo ed è, magari, il risultato di una serie prolungata di stimoli stressogeni. In questi casi può essere utile scaricare la tensione utilizzando non solo il respiro e gli occhi. Shakerare il corpo è un esempio di quello che si può fare. Fare stretching e allungare i muscoli un altro. In particolare l’allungamento dello psoas.

Se hai trovato interessanti questi concetti, ti rimando al sito dedicato al metodo IBP, dove troverai anche diverse video-pillole per approfondire la pratica: https://www.bodymindatwork.it/.

Un esempio classico di come l’uso del corpo può incidere notevolmente sulla nostra efficacia personale viene dalla ricerca di Amy Cuddy. In questa ricerca ai soggetti veniva chiesto di assumere una posizione ‘dominante’ piuttosto che una posizione ‘sottomessa’. Per capire e soprattutto sentire cosa intendiamo, puoi stare in posizione eretta (non con la schiena incurvata) con il petto aperto e le spalle indietro, le braccia rilassate ma larghe rispetto al corpo; lo sguardo alto. Mentre una  persona introversa e timida in uno stato di depressione tende a occupare un posto minimo nello spazio, la posizione di dominanza è visibile per la sua postura espansa. In sintesi, quello che la ricercatrice trovò fu che solamente due minuti passati in postura dominante sono sufficienti per aumentare significativamente il livello di testosterone e ridurre il livello di cortisolo. Tradotto: aumentare la spinta ad agire e ridurre lo stress percepito. Ecco quindi un altro protocollo immediato: prima di un compito importante, potenzialmente ansiogeno, possiamo assumere per due minuti una postura da rock star.

Utilizzare la luce e i ritmi naturali

Il nostro corpo è in costante relazione con l’ambiente che lo circonda.

Farò due esempi molto semplici su come utilizzare gli stimoli ambientali per aumentare il nostro benessere ed efficacia. Sappiamo ad esempio che è difficile essere in uno stato ottimale (e quindi essere dentro il nostro stato di efficacia) quando il sonno è povero e ci alziamo stanchi. Da un punto di vista neurofisiologico la qualità del sonno è regolata da neurotrasmettitori che sono in relazione con la qualità della luce. Svegliarsi al mattino e permettere che una grande quantità di luce entri attraverso le nostre pupille è fondamentale perché si inneschi il ciclo del cortisolo il quale regola il ciclo della veglia – e l’energia che abbiamo a disposizione. Allo stesso modo, la visione della luce giallo-azzurra che caratterizza il tramonto è fondamentale per segnalare al corpo che la giornata sta finendo e quindi stimolare la melatonina endogena. Perciò per riequilibrare il nostro ciclo veglia-sonno dovremmo esporci alla luce naturale in questi due momenti del giorno almeno. Il punto è che la luce di cui stiamo parlando non è quella che passa dalla finestra o dal parabrezza dell’auto che può essere fino a 10 volte meno intensa. Abbiamo bisogno di essere all’aperto per 10-20 30 minuti (a seconda dell’intensità della luce che ovviamente cambia nei diversi momenti dell’anno).

Un altro esempio di come poter sfruttare i ritmi naturali circadiani è il modo in cui collochiamo le diverse tipologie di attività. Per via proprio del ciclo del cortisolo e dei suoi effetti a catena, per la maggior parte delle persone è più efficace compiere i compiti analitici di mattina e quelli più generativi nel pomeriggio.

Conclusione: le caratteristiche di un leader

La nostra efficacia personale e quella professionale dipendono dal buon funzionamento del nostro corpo e del nostro sistema nervoso. Anche se proveniamo da una cultura cartesiana che ha da sempre decretato la supremazia della mente, la verità è che la mente è radicata nel corpo. Non a caso negli ultimi anni si sta generando una corrente di pensiero che parla di Emobodied Leadership.

Se ci garantiamo un sonno ristoratore e una buona elasticità neurofisiologica, accedere ai nostri stati di risorsa sarà più semplice. Al contrario se abbiamo riposato male, se siamo eccessivamente tesi oppure poco presenti, sarà difficile essere percepiti come persone empatiche quando ci relazioniamo con gli altri, essere convincenti e motivanti quando presentiamo le nostre idee, essere concentrati quando siamo impegnati in un compito specifico.

Elasticità neurofisiologica significa che una persona di successo non è sempre calma e nemmeno sempre ‘sul pezzo’. L’efficacia dipende proprio dall’abilità del nostro sistema interiore di calibrarsi in funzione degli obiettivi e degli stimoli esterni; ora si rilassa maggiormente e poi torna ad attivarsi.

Ed è proprio in questa varietà che le sue ‘batterie’ si ricaricano. Se fossimo sempre in una costante tensione verso gli obiettivi arriveremmo a sera devastati. Gli esercizi elencati sono un ottimo modo per allenare questa flessibilità.

Il nostro sistema nervoso nasce per rispondere attivamente ai cambiamenti ma accade che periodi lunghi di stress cronico lo portino ad irrigidirsi;  quello che potremmo avvertire come sabotaggio interno, ossia il fatto che il nostro corpo non risponde come vorremmo nel momento del bisogno, in molti casi non è altro che la conseguenza di questo irrigidimento cronico: siamo sempre in uno stato di ipervigilanza o siamo sempre stanchi.

Se hai bisogno di rilassarti fai un sospiro e una espirazione lunga, defocalizza lo sguardo e fai un po’ di allungamento muscolare. Se hai bisogno di maggiore attivazione, fai 5 respiri accelerati, focalizza lo sguardo su un bersaglio e appoggia saldamente i piedi a terra.

E il beneficio non si esaurisce all’effetto immediato che così ottieni: ripetendo questa attenzione più volte al giorno per un periodo di diverse settimane, quello che accade è che alleni il tuo sistema nervoso a potenziare la sua naturale flessibilità. In altre parole più lo alleni e più il tuo sistema nervoso tenderà a rispondere con flessibilità nel momento del bisogno.

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Andrea Magnani
CEO & Founder LAM Consulting srl SB