Tutti noi siamo dotati di qualche talento o, almeno, percepiamo di essere particolarmente bravi a fare qualcosa. Che sia fare una torta, organizzare un evento, insegnare, giocare a pallone o saper effettuare calcoli matematici complessi, ognuno di noi si sente particolarmente dotato in qualcosa. E ci piace essere e dimostrare di essere i migliori, almeno su quella cosa. Per questo, consciamente o meno, tendiamo a circondarci di persone che non possono minare e mettere in discussione la nostra sicurezza e il nostro primato in quella particolare capacità. Sin da bambini tendiamo a scegliere amici che eccellono in abilità diverse dalle nostre, in modo da alimentare (e proteggere) la nostra autostima evitando confronti che ne potrebbero minare la nostra percezione di noi stessi rispetto agli Altri. Perché vogliamo essere i numeri uno. Almeno in qualcosa. E questo comportamento non si esaurisce con l’arrivo dell’età adulta ma, anzi, sembra influenzare molte delle nostre decisioni professionali e sociali. Per esempio questo comportamento, chiamato “bias da confronto sociale”, sembra influenzare enormemente i processi di selezione del personale in azienda. In uno studio del 2010 condotto dall’Università del Michigan in collaborazione con Yale e l’Università della Georgia, Stephen Garcia e colleghi hanno ipotizzato che le persone che si percepiscono estremamente talentuose in una dimensione (per esempio, le abilità organizzative) tendano a proteggere il loro contesto sociale, per esempio preferendo raccomandare persone che abbiamo talenti diversi (per esempio la capacità di comunicazione) e che quindi non siano in diretta concorrenza rispetto ai loro punti di forza. I ricercatori hanno così creato tre esperimenti per testare questa ipotesi. Nel primo esperimento, ad una trentina di studenti universitari è stato chiesto di immaginare se stessi come un professore di legge (per metà studenti esso era “presentato” con un elevato numero di pubblicazioni in generale mentre per l’altra metà “con un basso numero ma di alta qualità”) che doveva raccomandare un possibile nuovo professore tra due candidati. La metà degli studenti che dovevano immaginare di essere il professore con un elevato numero di pubblicazioni (alta quantità) hanno preferito raccomandare il candidato con meno pubblicazioni ma in riviste più importanti (alta qualità) e viceversa per l’altra metà. I partecipanti tendevano quindi a favorire il candidato che non poteva mettere in discussione le loro qualità. Nel secondo studio quaranta studenti sono stati sottoposti ad un test per valutare le loro capacità verbali e aritmetiche. Dopo la compilazione del test ai partecipanti è stato restituito un “falso risultato”. A metà di essi è stato detto di aver ottenuto un alto punteggio in aritmetica e uno basso nelle abilità verbali mentre l’opposto per l’altra metà. Successivamente agli studenti veniva detto che avrebbero fatto parte di un team di lavoro, e dovevano scegliere uno studente tra due possibili colleghi: uno aveva alte abilità aritmetiche e basse abilità verbali, l’altro, ovviamente, il contrario. E anche in questo caso gli studenti hanno scelto la persona con le abilità “opposte” , e quindi non in competizione, alle proprie. Nel terzo studio, ad una cinquantina di dipendenti di una università del Midwest è stato chiesto di immaginare di essere un impiegato di una grande società con o un elevato salario o un importante potere decisionale. Essi dovevano decidere se offrire ad un nuovo assunto un elevato stipendio o un alto potere decisionale. Anche in questo caso i partecipanti tendevano a offrire quello che non possedevano, evitando sul nascere una “competizione diretta” con il nuovo assunto.
I ricercatori hanno così evidenziato come le persone tendano a evitare di trovarsi in situazioni lavorative con persone che condividono i nostri talenti, con cui potremmo trovarci in competizione, e che potrebbero modificare la percezione delle nostre abilità. Essi hanno inoltre sottolineato come questo fenomeno alla lunga potrebbe portare un dipartimento/reparto/ufficio dell’eccellenza a perdere qualità, poiché questo bias può ridurre la nostra capacità di scegliere in base ai reali bisogni della nostra azienda.
Come riuscire ad evitare questo problema? Prima di tutto sapere e riconoscere che, consciamente o inconsciamente, potremmo mettere in atto questo tipo di comportamento. Poi decidere a priori, magari creando una check-list sulle competenze, abilità e attitudini che ricerchiamo, per poi sottoporla al giudizio (con relativa discussione) di qualche collega, in modo da avere un feedback sulle nostre idee. Infine ricordarsi che, se da un lato una persona con i nostri stessi talenti più mettere a rischio la nostra autostima, dall’altro può aiutarci a fare quel salto di livello, personale e professionale, che ci può far diventare veramente migliori di quello che siamo.