Quando veniamo incaricati da un’azienda di formare le persone sulle tecniche di vendita poniamo sempre una domanda: “Quali obiettivi volete raggiungere in modo specifico?”. Può sembrare una domanda banale, oppure addirittura ininfluente dal momento che gli obiettivi, nel caso della vendita, dovrebbero essere facilmente quantificati. Eppure, ponendo questa domanda e dalle risposte ricevute abbiamo tratto lezioni importanti.
L’azienda è evidentemente coinvolta in un cambiamento in cui vuole imprimere un cambio di passo nell’operato delle persone.
La richiesta di aumentare le competenze dei commerciali, rendendo più efficienti le strategie di vendita, può essere iscritta in un processo vero e proprio di Change Management in cui l’azienda aggiorna l’offerta, dal layout dei negozi, all’omnicanalità e ai supporti digitali, ma può anche essere semplicemente circoscritto al livello delle competenze: tutto rimane uguale ma le persone devono vendere di più. In ogni caso, quando cerchiamo di capire quale sia l’impatto desiderato, le risposte non sono mai uguali e le differenze segnalano la necessità di prestare molta attenzione al processo formativo relativo alle tecniche di vendita e non solo.
Facciamo un esempio.
Un cliente, banca di credito cooperativo, aveva come obiettivo fondamentale che i consulenti di filiale incontrassero più clienti, in particolare quelli che non si presentavano mai allo sportello. Ottimo! Quindi nelle due giornate sulle tecniche di vendita era fondamentale che sottolineassimo quanto fosse importante avere questa mentalità. Nessun problema, potevamo farlo. Ma la nostra etica professionale ci imponeva di condividere con il cliente un ragionamento ulteriore.
Innanzitutto partiamo da alcune domande:
Siamo certi che siano ragionamenti proposti e riproposti nelle convention aziendali e nelle periodiche riunioni di area. Sono state perfino impostate delle campagne commerciali rivolte a liste selezionate di clienti poco sviluppati. Tuttavia, la situazione è cambiata di poco: i consulenti continuano a ripetere di non avere tempo da dedicare a queste attività extra.
Qual è la probabilità che la situazione si modifichi grazie al fatto che un formatore, incontrato per due giornate, ripeta loro che devono incontrare quella parte di clientela?
Siamo d’accordo che quell’intervento formativo sulle tecniche di vendita avrà un impatto che rasenterà il nulla, il vuoto, lo zero?
Questo esempio ci permette di comprendere che talvolta fare un passo indietro e definire adeguatamente l’impatto atteso, possa creare le condizioni affinché la formazione sia utile e possa essere inglobata in una più ampia strategia di cambiamento.
In quel caso il cambiamento non può avvenire per il fatto di insegnare delle tecniche di vendita. Mentre per supportare davvero le persone, bisogna capire esattamente perché non abbiano già modificato i propri comportamenti nonostante le richieste della Direzione Commerciale.
Si tratta quindi di compiere un’azione-ricerca che faccia emergere quelli che chiamiamo fattori causali. Nel caso specifico della Banca di Credito Cooperativo ne sono emersi alcuni che elenchiamo. Per massima chiarezza, dobbiamo precisare che essi non sono generalizzabili, infatti in altri contesti aziendali, (ma anche in altre BCC) abbiamo trovato altre spiegazioni.
I fattori emersi sono riferiti a tre macrocategorie:
A una prima raccolta di informazioni, l’elemento che emerse più frequentemente era una sorta di lamentela sul fatto che non c’era tempo. Le incombenze sono tante: da portare a termine le pratiche, tutti gli aspetti contabili e burocratici, dare risposta pronta alle richieste dei clienti (eseguire un bonifico, pagare l’F24 ecc).
Certamente si tratta di attività che possono essere snellite solo attraverso un ripensamento dei processi e dei carichi di lavoro; in sostanza nulla di fattibile nel breve.
Ma il tempo che loro dedicavano ai clienti, che fosse un 50% del loro tempo o anche solo un 30%, perché non lo dedicavano a contattare quei clienti considerati prioritari?
In questo caso la risposta cominciava a diventare interessante: “Non chiamiamo quei clienti perché già dobbiamo dare risposta ai clienti che entrano in filiale e proviamo a vendere qualcosa a loro, visto che sono lì; e poi abbiamo sempre delle urgenze! Quando dobbiamo raggiungere il premio sulle carte di credito, in quel poco tempo, dobbiamo ottenere dei bei volumi di risultato: secondo te chiamo un cliente che manco conosco e che probabilmente mi dirà di ‘no’, o chiamo chi conosco bene?”.
Ecco, dietro questa risposta ci sono due esempi di disallineamento strategico che danno una bella spiegazione di ciò che avviene nella realtà e che superficialmente chiamiamo ‘resistenza delle persone al cambiamento’.
La direzione dà diversi obiettivi che non sono ambivalenti ma che, in un tempo che è limitato, diventano reciprocamente esclusivi. Posso evitare di dare pronta risposta ai clienti che entrano per mille diversi motivi? Mmmm, sì solo nel caso in cui quel cliente mi trovasse già impegnato con un altro cliente, per cui diventerebbe necessario ritornare su appuntamento. Ma certamente se il cliente affluente mi trova libero, come posso, di punto in bianco, mandarlo via? Ed ecco che la mia agenda si riempie. Attenzione: il tempo si riempie con un’attività che comunque sono tenuto a fare (la direzione non vorrebbe mai che io mandassi via i clienti che entrano in filiale), e che è estremamente comoda; mi trova passivo; il cliente è già lì. Come pretendere che io mi liberi di una cosa comoda per dedicarmi a contattare clienti che neanche mi conoscono?
La seconda incompatibilità viene proprio dal tentativo di promuovere un’attività commerciale: le campagne.
Cosa posso fare se tu Direzione mi chiedi di raggiungere un certo numero di carte di credito, o di Piani di Accumulo o altro? Cosa succede se non li vendo? E’ chiaro che mi conviene andare sul sicuro rintracciando i clienti che già sono ben serviti. Allora a questo punto non mi rimane più il tempo per fare altro.
Come abbiamo risolto questo paradosso? Abbiamo studiato con la direzione una strategia commerciale che potesse inglobare tutti gli obiettivi e di questo parleremo in un prossimo articolo. Prima delle tecniche di vendita abbiamo dovuto curare l’aspetto di contesto strategico in modo che potesse supportare il cambiamento.
Domanda secca: “Chi dovrebbe intervenire nel caso in cui un consulente non faccia ciò che ci si aspetta? Il direttore di filiale. Ma chiediamoci se il direttore di filiale abbia in prima persona una buona organizzazione per priorità dell’agenda. La risposta è fin troppo scontata: per queste banche del territorio che hanno tradizionalmente fatto leva sulla relazione come punto di forza, si tratta di un cambiamento epocale; chi ora ricopre il ruolo di direttore di filiale, a meno che non provenga da altri contesti, non ha tipicamente lavorato con questa modalità ed è probabile che sia il primo a mostrare una resistenza. Ecco allora che diventa necessario pensare ad un intervento che coinvolga in modo attivo anche la linea manageriale diretta. Altrimenti cosa può succedere? Beh, quello che accade nella maggior parte (circa i due terzi) dei processi di cambiamento. Supponiamo di lavorare bene sulla strategia commerciale in modo da dare alle persone delle indicazioni chiare su come raggiungere gli obiettivi. Ci sarà naturalmente una parte di loro che non le seguirà, è fisiologico; semplicemente continueranno a comportarsi come prima. E in quei casi se i direttori di filiale non saranno in grado d’intervenire in modo efficace, come possiamo sperare di generare il cambiamento? Sia ben chiaro, ognuno dei direttori intervistati ha affermato di comprendere molto bene la richiesta e di essere assolutamente d’accordo. Ma il problema è di natura manageriale: il direttore che non sa come ottenere il cambiamento, rinnoverà la richiesta una, due, forse dieci volte al proprio collaboratore, finché non smetterà di ripeterlo. E farà bene, perché non è ripetendo le richieste che si crea il cambiamento. A quel punto il messaggio implicito sarà chiarissimo: “Quando noi della Direzione affermiamo che vi sarà un cambiamento, non ti preoccupare, tanto alla fine potrai fare esattamente come prima”.
Per generare il cambiamento abbiamo creato dei tavoli di lavoro con i direttori di filiale per condividere come intervenire nel caso in cui un collaboratore non sia allineato: dalla richiesta iniziale, all’affiancamento e analisi delle difficoltà, fino al rinforzo del cambiamento nel tempo. Non abbiamo messo in piedi un generico corso sulla leadership (con le solite teorie su pianificazione, delega, team building), ma abbiamo calato l’intervento verticalmente sul problema di gestione commerciale. Perché le persone possano gradire realmente la formazione, è necessario che parli il linguaggio dei problemi quotidiani che vivono.
Infine, sì, l’efficacia della comunicazione c’entrava qualcosa. Nella nostra analisi agile iniziale abbiamo chiesto a un gruppo di consulenti: “Immagina di essere di fronte ad un cliente prioritario, non lo conosci, ha questi prodotti, cosa gli dici?”. Le risposte erano piuttosto varie, ma contenevano problemi comuni. Ad esempio, dopo una generica e spesso imbarazzata introduzione, tutti i consulenti cominciavano a parlare di prodotti senza verificare mai l’interesse del cliente. Chi, ad esempio, si era dato l’obiettivo di proporre un piano pensione cominciava raccontando il disastro del nostro sistema previdenziale (evitando di capire dal cliente fino a che punto fosse informato e interessato) e poi elencava una serie di caratteristiche tecniche: 4 linee di investimento, flessibilità dei versamenti, anticipazioni, deduzione fiscale, ecc. In sintesi, un’elevata quantità di informazioni senza dialogare con il cliente per comprendere i bisogni. Tutti avevano già partecipato a corsi di vendita, in cui gli avevano spiegato che si devono comprendere i bisogni del cliente prima di fare delle proposte. Messi a punto strategia e supporto manageriale, e realizzati gli appuntamenti con i clienti prioritari, probabilmente sarebbero arrivati pochi risultati. Le persone erano estremamente competenti nella loro materia, ma il modo di presentare le proposte poteva funzionare con clienti consapevoli dei propri bisogni e di come poterli soddisfare o che si affidano al consulente. Ma certamente non poteva essere un modo efficace per affrontare clienti con i quali il rapporto di fiducia è ancora da costruire e che non hanno espresso alcun bisogno particolare.
Si trattava certamente di un problema da risolvere ma anche in questo caso non poteva essere risolto con un corso sulle tecniche di vendita, per altro già realizzato in precedenza. In questo caso abbiamo affrontato il problema cercando di risolvere assieme ai consulenti la sfida comunicativa a partire dall’ambito di prodotti che intendevano sviluppare. Questo ha dato loro molta più sicurezza e ha ridotto in maniera significativa la resistenza al cambiamento
Un’ultima nota sulla messa a terra di questo cambiamento. Abbiamo parlato di un’azione su tre diversi livelli: strategico, manageriale e comunicativo. Sembra un impegno molto importante, certamente molto più impegnativo di due giornate di formazione. Facciamo due considerazioni un po’ brutali e poi vediamo di dare una risposta più articolata. Due giornate di formazione sono un piccolo impegno. Abbiamo valutato assieme all’azienda che non sarebbero servite a nulla. Se dopo questa valutazione congiunta si decidesse comunque di realizzarle, nessun problema. Ma toglierei dall’equazione il: “costa di più di due giornate di formazione” perché se è per questo costa di più anche di un sacco di spazzatura ma non per questo facciamo il confronto. La seconda considerazione brutale è banalmente questa: l’azienda ha deciso di investire in questa direzione per puro calcolo. Ha calcolato che se fossimo riusciti a creare il cambiamento desiderato, avrebbe recuperato l’investimento in sei mesi; nella peggiore delle ipotesi, in un anno.
E adesso vediamo come rendere un percorso che è articolato per essere efficace, anche efficiente: procediamo in modo virale. Dal 2010, cioè da quando abbiamo elaborato il nostro primo modello di apprendimento organizzativo, realizziamo sempre progetti pilota selezionando assieme all’azienda le persone che possono aiutarci in questo intento. Il progetto pilota ha infatti anche la funzione di testare, con un budget limitato, la bontà di un approccio. Da un punto di vista di azione-ricerca, il progetto pilota è per noi il banco di prova dove affinare l’intervento e ottimizzarlo ancora di più in base alle informazioni che ne emergono. Ma è anche il primo passo per diffondere il cambiamento in maniera virale. Approfondiremo questo tema in altri articoli e rimandiamo comunque al lavoro del dott. Leandro Herrero.
Questo per dire, in sintesi, che le segretissime tecniche di vendita che possono davvero offrire uno sviluppo enorme ai risultati commerciali non esistono. Oppure esistono ma devono essere scoperte nelle pieghe della realtà, in quei dettagli unici che sembrano piccole cose, difficili da individuare per via dell’abitudine, ma che alla fine generano grandi cambiamenti. Il cambiamento è un processo di scoperta. La formazione che dà risultati è un processo di scoperta.
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