Da completo profano quando sentii parlare di Empowerment delle Donne come approccio per promuovere la parità di genere provai diffidenza. Mi chiesi: “Ma come? Viviamo in una cultura piena di bias che condizionano le persone inconsciamente perfino nei colloqui di selezione, lavoriamo in aziende in cui le donne vengono pagate sistematicamente di meno degli uomini, e adesso vogliamo insinuare che sono le donne quelle che devono darsi un bel ‘potenziamento’?”
Senza aver approfondito la questione mi suonava molto simile a quel pensiero strisciante secondo il quale sì, è vero, la violenza contro la donna è totalmente da condannare… “però un po’ lei se l’è cercata! Hai visto come era vestita in modo provocante?”.
Poi ho avuto il piacere di parlare con Francesca, una collega appassionata di questi temi che ha contribuito a realizzare progetti sulla Leadership al femminile anche attraverso corsi specifici dedicati alle donne. Francesca mi ha condiviso due esempi che mi hanno portato a vedere il problema da un altro punto di vista. “Non sai quante donne non hanno nemmeno fiducia in se stesse sul fatto di poter ricoprire un ruolo di leadership! Ed è vero che nelle organizzazioni le donne sono mediamente sotto pagate ma molte di loro non si azzardano nemmeno a chiedere un aumento o una promozione”. Queste sono informazioni che ha raccolto proprio dalle donne che partecipavano ai suoi gruppi.
Si tratta di un esempio molto potente in cui la dimensione individuale e quella culturale sono fortemente intrecciate. Ed è un ennesima conferma del fatto che il modo più efficace per sbloccare una situazione problematica è quello di lavorare sul proprio ‘Inner Game’ o ‘Gioco Interiore’. (questo è l’articolo in cui approfondire di cosa si tratta: Che cos’è il Gioco Interiore della Leadership? – Lam Consulting srl SB).
Il Gioco Interiore è stratificato:
Individuare la tipologia di Gioco Interiore che soggiace alla mancanza di empowerment, come si ama chiamarlo, è solo il primo passo di consapevolezza e raramente, da solo, consente di sbloccare la situazione.
Lo strato più profondo è quello che ci da la dimensione causale: dove ho imparato questo su di me? Dove ho imparato che non posso chiedere? Dove ho imparato che non valgo? Dove ho imparato l’ossessione della perfezione? In genere in questa fase si scopre che si tratta di modelli assorbiti da adulti significativi quando eravamo piccoli. Avevo una mamma debole e passiva che subiva il giudizio di mio padre? Oppure ho avuto un modello di donna apparentemente forte – perché tutto il mondo ruotava attorno a lei – ma che in realtà era assente energeticamente a se stessa, abbandonava completamente i propri bisogni e le proprie aspirazioni per far felici gli altri? O sono cresciuta in una famiglia ipercritica, con un alto livello conflittuale in cui, per evitare di sentirmi sbagliata e non amata, ho cercato di sopprimere parti di me e di adeguarmi a standard sempre più alti?
Sono soltanto alcuni esempi che possono mostrare come questo scenario interiore, disegnato in età precoce, può riflettersi poi nella vita, nelle scelte e nelle non scelte adulte. E qui entra in gioco uno strato ancora più profondo e probabilmente il più interessante, se il nostro obiettivo è quello di cambiare qualcosa: nel corso della vita cresciamo e incontriamo tanti altri modelli. Non possiamo dire che siamo quello che siamo perché non abbiamo modelli diversi! Ne abbiamo trovati in adulti significativi durante la scuola (magari c’era una preside che aveva assoluta leadership), tra le amicizie (avevamo un’amica nella compagnia che sapeva manifestare chiaramente cosa voleva e cosa non voleva); ma anche una quantità di altri modelli più o meno lontani, conoscenti, personaggi pubblici come politiche, cantanti, attrici. La vera domanda è: perché non abbiamo accolto un modello diverso?
Separarci dal modello familiare nel quale siamo cresciuti è doloroso. J. Rosenberg, l’ideatore dell’approccio Integrative Body-Psychotherapy, ripeteva spesso che noi non perseguiamo la felicità o ciò che ci fa stare bene e nemmeno ciò che desideriamo. Ma siamo attratti da ciò che è familiare. E’ difficile e doloroso tagliare il cordone ombelicale. Per qualcuno è un po’ come tradire un clan.
Nei percorsi di Empowerment a volte si crea tra le partecipanti una sinergia, un senso di appartenenza ad una nuova famiglia, in cui si condivide un nuovo modello di donna al quale si vuole appartenere. Ed è la forza sistemica di questa nuova famiglia che può aiutare le partecipanti ad emanciparsi dalla propria tradizione. Tuttavia non è facile mantenere quella conquista se non si pulisce il rapporto con il proprio passato. Quando il sistema familiare che abbiamo introiettato e incorporato non è in pace, spesso il nostro cercare di essere diversi non è sereno, non ha quella forza stabile di qualcosa di naturalmente acquisito ma si esprime attraverso tensione, frustrazione e rabbia. Si vede che c’è una lotta non solo con l’esterno ma anche con una parte di noi.
E’ questa riflessione che effettivamente ci fa capire l’importanza del lavoro interiore. Se non sciogliamo questi condizionamenti profondi diventa difficile cambiare veramente le cose. Non sto assolutamente dicendo che non serve a nulla lavorare sulla società e sulla cultura: certamente è importante sollevare il tema, parlarne in convegni, cambiare la politica retributiva nelle aziende, portare gli uomini che guidano le aziende a riconoscere i propri bias. Ma probabilmente il lavoro interiore è ancora più importante, almeno per due motivi:
1) il primo è che la partita esteriore, anche quella di cambiare una cultura, come la storia insegna, si vince a partire dall’iniziativa di singoli. Rosa Parker era una donna che ha agito in modo singolo su un autobus. Certo, era parte di un movimento, ma è importante che vi siano singoli che agiscano; spesso è il coraggio e l’iniziativa di un singolo che poi muove le folle.
2) il secondo è che un cambiamento culturale, esteriore, da solo non è sufficiente in quanto deve essere interiorizzato. Non è stata sufficiente la rivoluzione sessuale degli anni 70 se ancora oggi molte donne sono le prime ad esprimere giudizi spregevoli contro un’altra donna per via della sua libertà sessuale. Per tornare al tema aziendale, l’obiettivo non è solo quello di aspirare e poi ricoprire un ruolo di leadership, ma anche di viverlo bene, in pace con sé. E questo richiede un lavoro interiore per poter accogliere il cambiamento.