La neuroscienza della felicità: un alleato inaspettato per il cambiamento

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La neuroscienza della felicità: un alleato inaspettato per il cambiamento

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“C’è una connessione profonda tra la felicità personale e l’evoluzione delle organizzazioni. E no, non è una moda del momento.”

Queste parole aprono il Caffè con la Tigre del 18 marzo, in cui abbiamo affrontato un tema tanto universale quanto sottovalutato nel contesto aziendale: la felicità. Non come aspirazione astratta, ma come leva concreta di benessere, produttività e trasformazione. In questo articolo, raccogliamo gli spunti emersi nel corso dell’incontro, integrando riflessioni, ricerche scientifiche ed esperienze pratiche, per offrire uno sguardo profondo (e sorprendente) sulla felicità come competenza da allenare, individualmente e collettivamente.

Felicità e successo: cosa dice la scienza?

Parlare di felicità, oggi, significa innanzitutto liberarla da un pregiudizio: quello che la considera una questione privata, slegata dai contesti professionali. Una metanalisi del 2005, che ha coinvolto oltre 275.000 persone, dimostra l’esatto contrario: è la felicità a generare successo, non il contrario. Le persone più felici, infatti, hanno maggiori probabilità di raggiungere obiettivi significativi nella propria vita, sia in ambito personale che professionale.

Ma non si tratta solo di una correlazione. Gli studi suggeriscono un rapporto causale: essere felici non è la conseguenza del successo, ma una delle sue condizioni. Un esempio emblematico viene da una ricerca condotta su un gruppo di suore, le cui emozioni positive espresse nei diari giovanili si sono rivelate predittive della longevità. In altre parole, chi esprimeva più felicità, viveva più a lungo.

Il punto di vista della psicologia positiva

A rafforzare questa prospettiva è il lavoro di Martin Seligman, fondatore della psicologia positiva. Seligman sposta il focus della psicologia dalla patologia al potenziale: la domanda non è solo “come risolvo i miei problemi?”, ma “come faccio a fiorire?”. Per Seligman, infatti, il benessere non è solo assenza di disagio, ma capacità di coltivare la propria unicità.

C’è un punto fondamentale: il nostro cervello non è programmato per cercare la felicità. Evolutivamente, il nostro sistema nervoso è progettato per individuare i pericoli e garantire la sopravvivenza. Di conseguenza, tendiamo a focalizzarci su ciò che non va, piuttosto che su ciò che funziona. Ecco perché la felicità va allenata: non è automatica, richiede intenzionalità e pratiche quotidiane.

Felicità: dentro o fuori di noi?

Una domanda ricorrente è: la felicità dipende da fattori interni o esterni? La risposta più saggia è: entrambi. Il nostro stato interiore conta, ma siamo profondamente influenzati dal contesto. Lo dimostra un esperimento di John Bargh (1996): a due gruppi di persone venivano date parole diverse con cui costruire frasi. Al gruppo A parole legate alla vecchiaia (“rughe”, “lento”), al gruppo B parole energiche (“sportivo”, “giovane”). All’uscita, i soggetti del gruppo A camminavano più lentamente. Un chiaro esempio di priming: il linguaggio modifica il comportamento, anche inconsciamente.

Esperienze o oggetti?

Uno dei passaggi più interessanti dell’incontro riguarda la differenza tra acquistare oggetti e vivere esperienze. Quando cerchiamo gratificazione, spesso la otteniamo con lo shopping. Ma le ricerche sono concordi: le esperienze generano maggiore e più duratura felicità rispetto agli oggetti.

Perché? Perché un’esperienza ha tre fasi: l’anticipazione, il vissuto e il ricordo. Tutte e tre producono benessere. Un oggetto, invece, tende ad abituarci rapidamente alla sua presenza, perdendo presto il suo potere gratificante. Naturalmente, ci sono oggetti che diventano esperienze (una chitarra, ad esempio), ma è proprio il valore esperienziale che fa la differenza.

Il denaro fa la felicità?

Anche su questo tema, la scienza ha molto da dire. Il denaro può aumentare la felicità, ma solo fino a un certo punto. Superata una soglia di sicurezza economica (che varia da persona a persona), più denaro non significa più felicità, anzi, può portare stress e preoccupazioni.

Un esempio emblematico è quello di un cliente milionario che, dopo l’acquisto di un catamarano da 4 milioni di euro, si ritrova più stressato di prima per le spese di mantenimento, la gestione, l’affitto a terzi. Questo paradosso è spiegato dal concetto di adattamento edonico: dopo una gratificazione intensa, i livelli di dopamina calano bruscamente, generando uno stato depressivo. Questo può innescare un circolo vizioso simile a quello delle dipendenze.

Curriculum vs elogio: quali virtù inseguire?

Nel cuore del nostro incontro, una domanda potente: cosa vorresti che dicessero di te al tuo funerale? Nessuno risponde “aveva una bella macchina”. Tutti parlano di autenticità, gentilezza, coerenza, amore.

Il filosofo David Brooks distingue tra le virtù del curriculum (competenze, titoli, successi) e le virtù dell’elogio funebre (valori, relazioni, impatto umano). Entrambe sono importanti, ma spesso confondiamo i mezzi con i fini. Le prime servono a costruire le seconde. Ricordarlo ogni giorno è parte dell’allenamento alla felicità.

Tre pratiche quotidiane per allenare la felicità

1. Il respiro quadrato

Un esercizio semplicissimo ma potente: inspira per 5 secondi, trattieni per 5, espira per 5, trattieni ancora per 5. Ripeti per 5 minuti. Questa pratica, testata da Stanford nel 2023, ha dimostrato di ridurre l’ansia del 20% e aumentare il benessere del 15% in un mese.

2. Camminare nella natura

Anche in città, ritagliarsi del tempo per camminare in un parco, osservare il verde, ascoltare i suoni naturali, abbassa i livelli di attivazione del sistema nervoso, rilascia tensioni e favorisce la centratura.

3. La regola del 10%

Un concetto della terapeuta Janina Fisher: non puntare alla perfezione. Quando sei in difficoltà, chiediti: “Posso stare anche solo il 10% meglio?” Questo approccio riduce l’autogiudizio e favorisce un rapporto più compassionevole con se stessi.

Le relazioni: la fonte più potente di felicità

Le ricerche sono unanimi: la qualità delle nostre relazioni è il fattore più predittivo di felicità e salute. Ma non tutte le relazioni contano: sono quelle in cui sperimentiamo sicurezza psicologica, accoglienza e ascolto che fanno la differenza.

Viviamo in una società iperconnessa ma relazionalmente povera. Messaggi, notifiche, like non possono sostituire un volto, una voce, una presenza. Coltivare relazioni autentiche richiede tempo e intenzionalità, ma è uno degli investimenti più efficaci per il nostro benessere.

Felicità e change management: un binomio strategico

Torniamo da dove siamo partiti: che c’entra la felicità col cambiamento? C’entra eccome. Le organizzazioni che vogliono accompagnare processi di trasformazione duraturi e sostenibili non possono ignorare il benessere delle persone. Una persona che si sente centrata, connessa e in equilibrio, è più predisposta ad affrontare il cambiamento con apertura e responsabilità.

Ma attenzione: la felicità non è solo responsabilità delle aziende. Ognuno di noi ha un ruolo attivo. Come individui possiamo coltivarla ogni giorno, con piccoli gesti, consapevolezze e scelte.

In sintesi: 10 principi per allenare la felicità

  1. La felicità va allenata, non è automatica.
  2. Le esperienze valgono più degli oggetti.
  3. Il denaro è utile fino a una soglia, poi rischia di creare dipendenza.
  4. Attenzione alla trappola della dopamina: non tutto ci rende davvero felici.
  5. Distingui tra virtù del curriculum e virtù dell’elogio.
  6. Pratica il respiro quadrato ogni giorno.
  7. Concediti passeggiate nella natura e momenti di defocalizzazione.
  8. Applica la regola del 10%: piccoli miglioramenti quotidiani.
  9. Coltiva relazioni autentiche e presenza.
  10. Ricorda che la felicità è anche una scelta di responsabilità personale.

“La felicità non è qualcosa che ci accade. È qualcosa che scegliamo di allenare.”