Il termine flextime indica un sistema d’orario che permette al lavoratore di variare i propri tempi di entrata ed uscita dal lavoro svolgendo però un numero standard di ore in un periodo dato.
Questo modello di gestione dell’orario o time management, già in uso nell’America negli anni ’30 al fine di combattere i ritardi e le assenze dal lavoro, viene riproposto sull’onda della flessibilità occupazionale. Tale sistema di contabilizzazione personale del tempo di lavoro permette una sorta di ristrutturazione dell’orario in rapporto anche alle esigenze lavorative o familiari. Il lavoratore può così variare, entro fasce orarie prestabilite, la collocazione temporale della prestazione nell’arco della singola unità di tempo. Margini di flessibilità possono essere introdotti anche negli orari di entrata e uscita, ovvero a uno spostamento dell’orario di inizio della prestazione corrisponde un correlativo slittamento dell’orario di cessazione. Naturalmente, quanto più la banda (flexband) è ampia tanto minori saranno le ore centrali di lavoro (core time) in cui tutti i lavoratori, ad esempio di un ufficio, sono presenti.
Secondo Fraccaroli e Sarchielli (2002) il tempo flessibile, in ottica di time management, appare assai apprezzato dai lavoratori e sembra avere effetti positivi sugli atteggiamenti verso il lavoro, sui giudizi sulla propria organizzazione e sulle stesse condotte lavorative.
Infatti, già Golembiewsky e Proehl (1978) avevano osservato che questa semplice modifica dello schema orario era particolarmente coerente con i bisogni personali e familiari dei lavoratori (soprattutto per le donne), produceva sensibili miglioramenti del clima sociale e organizzativo, rafforzava i sentimenti di poter padroneggiare meglio la situazione lavorativa e di poterla combinare con le richieste familiari, agiva sulla riduzione delle percezioni di sovraccarico e di stress. Risultati incerti riguardano, invece, la produttività e la soddisfazione lavorativa in senso stretto (i dati empirici non segnalano nette differenze tra lavoratori ad orario standard e orario flessibile), mentre si sono osservate riduzioni sensibili dei tassi di assenteismo, dei ritardi nell’ingresso al lavoro, del turn-over. La formula del flextime, già in uso in particolari categorie di lavoratori come lavoratori agricoli o dai lavoratori autonomi, inizia ad essere particolarmente utilizzata in ambito impiegatizio, nel terziario e in molti tipi di servizi pubblici. Ciò avviene come conseguenza delle fluttuazioni del mercato che comportano esigenze di variazione e di flessibilità nell’uso degli orari.
Come ogni modello di gestione del tempo di lavoro anche il flextime ha le sue criticità.
Armgstronig-Stassen (1998) fa notare come la cattiva gestione personale del flextime può determinare situazioni di tensioni o di vero e proprio conflitto intragruppo e integruppi. Ad esempio ciò può avvenire quando l’orario di ingresso è eccessivamente anticipato (vado al lavoro quando non c’è nessuno o non c’è niente da fare. In secondo luogo, può danneggiare chi lavora in team, spalmando la presenza dei lavoratori lungo l’arco della giornata e rendendo complicate le interazioni tra i membri di uno stesso gruppo di lavoro. Inoltre la gestione del flextime può prestarsi a stimolare situazioni di free-riding (una persona che sfrutta furbescamente, a proprio vantaggio, la flessibilità dei tempi di entrata e uscita confidando nella “copertura” di fatto da parte del gruppo di lavoro).
In Italia il flextime è regolato dai singoli CCNL (ad esempio: il CCNL integrativo del 14/9/2000 art. 38 bis introduce il concetto di “Banca Ore”).