L’esperienza personale può rivelarsi un’ispirazione preziosa per comprendere le dinamiche del cambiamento nelle organizzazioni. Un esempio lampante è rappresentato dalla mia avventura con il tennis, in particolare con il rovescio, che mi ha offerto spunti illuminanti sul trasferimento dell’apprendimento e sull’evoluzione dei ruoli formativi all’interno delle aziende.
Circa quindici anni fa, mi cimentai per la prima volta con il tennis. Il dritto era una zona di comfort, ma il rovescio si rivelava un vero e proprio incubo: la palla finiva sempre in rete, il movimento sembrava innaturale e, nonostante i numerosi consigli dei maestri, non riuscivo a ottenere il controllo necessario. Una delle lezioni più dure fu quando una maestra, dopo aver tentato ripetutamente di correggermi, mi disse: “Andrea, secondo me tu non sei portato per il tennis”. Di fronte a questo insuccesso, abbandonai la mia sfida.
Recentemente, però, ho deciso di riprendere quel percorso e, grazie a un maestro esperto e attento ai principi dell’apprendimento degli adulti, ho potuto finalmente smontare e ricostruire il mio movimento. In una sola lezione, ho appreso a giocare di rovescio correttamente: un cambiamento che non è avvenuto per magia, ma grazie a un approccio mirato e personalizzato. Naturalmente, come in ogni disciplina, la confidenza cresce con l’uso e la pratica, permettendo di correggere i micro errori e perfezionare ulteriormente la tecnica.
Durante un recente convegno sul futuro dell’apprendimento organizzativo, è emerso come il ruolo dei manager debba evolversi. In un’epoca in cui la formazione tradizionale rischia di essere percepita come un evento isolato e disincarnato, il futuro si prospetta nel coinvolgimento diretto dei manager come formatori interni, coach e facilitatori del cambiamento.
Questo concetto non è nuovo, lo si sentiva già venticinque anni fa, ma oggi assume una nuova rilevanza. L’apprendimento, infatti, non può limitarsi a una giornata formativa seguita da un ritorno immediato al contesto lavorativo, dove le conoscenze apprese rischiano di spegnersi rapidamente. È necessario un supporto costante, un “occhio di attenzione” da parte dei superiori che aiuti a consolidare e trasferire concretamente le competenze acquisite.
Il mio percorso nel tennis mi ha insegnato che la qualità dell’insegnamento è determinante. I primi tentativi, pur essendo guidati da maestri qualificati, non hanno saputo fornirci un metodo efficace per migliorare il rovescio; anzi, l’esperienza è stata talvolta demoralizzante, portandomi a dubitare delle mie capacità. Solo quando ho incontrato un docente che ha saputo “smontare” il mio movimento e ricostruirlo in maniera coerente, il cambiamento è stato possibile.
Analogamente, nel mondo aziendale non basta nominare i manager come formatori interni. Occorre prima creare una cultura del cambiamento, in cui questi leader si riconoscano e abbraccino il nuovo ruolo, non vedendolo come un’ulteriore incombenza, ma come un’opportunità per rafforzare la crescita personale e collettiva. Solo superata la resistenza culturale e organizzativa, si può intervenire efficacemente sul “come” fare: il trasferimento dell’apprendimento richiede praticità, esperienza e la capacità di consolidare nel tempo le nuove competenze.
Nel 2008 abbiamo iniziato a concentrarci su questa problematica, e nel 2010 abbiamo messo a punto il primo modello di “laboratorio delle competenze”, un approccio innovativo per supportare il trasferimento dell’apprendimento. Da allora, la nostra ricerca è proseguita fino a sviluppare l’ultimo modello, basato sui “10 fattori di resistenza al cambiamento”, che offre strumenti concreti per rendere sostenibile il percorso di crescita nelle organizzazioni.
La differenza tra le grandi aziende e le piccole-medie imprese è netta: mentre nelle prime le metriche come le ore di formazione possono bastare, nelle realtà imprenditoriali più contenute il successo formativo si misura in termini di impatto reale e immediato. Investire tempo e risorse in un percorso che non produce risultati tangibili è frustrante e controproducente, proprio come accade se, dopo dieci ore di lezione di tennis, non si riesce ancora a giocare di rovescio.
Il futuro dell’apprendimento organizzativo passa dunque dal trasferimento dell’esperienza, dalla capacità di rendere la formazione non solo un momento di acquisizione di informazioni, ma un’occasione per sperimentare un cambiamento sostenibile, motivante e profondamente radicato nel contesto lavorativo. È questo il cambiamento che intendo promuovere: spostare l’attenzione dalle mere informazioni a come si fanno le cose realmente, con un approccio pratico e coinvolgente.
L’esperienza del tennis – in particolare il difficile apprendimento del rovescio – rappresenta una potente metafora per il futuro dell’apprendimento organizzativo. Solo attraverso un approccio personalizzato, che combini formazione, pratica e sostegno continuo, possiamo aspettarci di vedere un vero cambiamento nelle competenze manageriali e nella crescita delle persone.
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