L’effetto Zeigarnik è la tendenza a sperimentare pensieri intrusivi che riguardano un obiettivo che è stato perseguito ma non completato. Proviamo una strana sensazione, come se la nostra mente, che magari abbiamo orientato verso obiettivi nuovi, ci lanciasse dei segnali che “manca” qualcosa, ovvero cerca di avvertirci che una precedente attività è stata lasciata incompleta. Sembra essere nella natura umana finire quello che abbiamo avviato e, se non è riusciamo a completarlo, tendiamo a sperimentare una dissonanza.
Questo effetto prende il nome da Bluma Zeigarnik, psicologa russa che, a fine anni ’20, “scoprì” questo effetto. Un giorno la Zeigarnick si trovava in un ristorante di Vienna e, mentre aspettava di essere servita, notò un comportamento interessante: i camerieri riuscivano a ricordarsi un numero impressionante di ordinazioni ma subito dopo aver evaso l’ordine, essi “rimuovevano” completamente quell’informazione e non riuscivano più a ricordarsi chi avesse ordinato cosa. Così, incuriosita da questo fenomeno, la Zeigarnik decise di studiarlo con un semplice ma efficace protocollo sperimentale. Raccolse un gruppo di partecipanti e chiese loro di svolgere 20 semplici compiti, come risolvere dei puzzle, o creare delle collanine. I partecipanti venivano quindi interrotti durante la prova e la Zeigarnik annotava quali compiti non erano stati conclusi. Quindi ai partecipanti veniva chiesto di elencare le attività che avevano appena svolto. Ebbene, i partecipanti ricordavano molto meglio (circa il doppio) i compiti durante i quali erano stati interrotti rispetto ai compiti che erano riusciti a completare. Ma la storia non finisce qui. Più di 50 anni dopo (1982) Kenneth McGraw e colleghi, dell’Università del Mississippi, testarono nuovamente l’effetto Zeigarnik con un nuovo paradigma: i partecipanti dovevano risolvere un puzzle veramente difficile, e anche in questo caso essi furono interrotti prima di riuscire a completarlo. Venne quindi detto loro che lo studio era finito. Nonostante questo quasi il 90% dei partecipanti continuò a lavorare sul puzzle, risolvendolo.
Tutto questo ha una forte associazione con il “procrastinare”, non vi sembra? No, forse ancora mancano dei dettagli. Quindi proseguiamo. Uno dei più vecchi trucchi del settore televisivo per tenere gli spettatori sintonizzati su una serie settimane dopo settimane è l’utilizzo dei finali mozzafiato. L’eroe sembra essere caduto da una montagna, ma la scena è tagliata prima che di averne la certezza. E poi quelle fatidiche parole: “to be continued …” Letteralmente mozzafiato. Così, a distanza di una settimana, ci mettiamo comodi nel nostro divano e ci sintonizziamo con il nostro telefilm attendendo con trepidazione di capire com’è andata a finire, perché quel mistero, quella situazione incompleta ticchetta nel nostro cervello continuando a dirci: “come finirà?”
Questa è la stessa tecnica dei romanzi in serie, come delle raccolte di libri o modellini: avete presente le collezioni da edicola, quelle che costano 1.90€ il primo numero e 10€ gli altri? Non è solo per farci provare il prodotto, ma per metterci nel meccanismo: ho iniziato, adesso devo completare la serie.
Tornando alla procrastinazione, tutti questi esempi hanno in comune che quando le persone riescono a iniziare qualcosa sono più inclini a portarla a termine. Se ragioniamo sulla nostra modalità di procrastinazione, ci renderemo conto che per la maggior parte di noi essa è più forte quando siamo di fronte ad un compito grande che stiamo cercando di evitare in ogni modo. Potrebbe essere perché non sappiamo come iniziare o da dove cominciare. Ma l’effetto Zeigarnik ci insegna che la miglior arma per battere la procrastinazione è semplicemente iniziare da qualche parte. Quindi si può evitare di iniziare con la parte più difficile, ma cominciare con la parte più facile del compito/lavoro/attività. Una volta iniziato, il resto tenderà a seguire di conseguenza e con naturalezza. Dopo aver effettuato un inizio anche semplice e banale, poi si innesca in noi una spinta che ci conduce fino alla fine dell’attività.
Anche se questa tecnica è così semplice, spesso tendiamo a non metterla in pratica perché ci concentriamo sulle parti più difficili dei nostri progetti. Quel senso di impotenza e paura di fallire può facilmente alimentare i nostri comportamenti di procrastinazione. Tuttavia l’effetto Zeigarnik sembra non funzionare così bene quando non siamo particolarmente motivati a raggiungere il nostro obiettivo o quando siamo sicuri di fallire. Ma se valutiamo un obiettivo come fattibile o comunque abbiamo un minimo di motivazione a raggiungerlo, allora basta fare quel primo passo che potrebbe essere la differenza tra il successo e l’insuccesso.