Nella vita di tutti giorni, la maggior parte di noi, quando vuole confermare una teoria, un’idea, una supposizione, utilizza un metodo di pensiero che tende ad identificare più le somiglianze che le differenze tra quello che pensiamo e le “prove” oggettive che la realtà ci offre.
Ci sono persone che di fronte ad una nuova tesi, ad esempio che chiamarsi in una certa maniera possa portare più facilmente al successo lavorativo (vedi anche questo articolo http://lab.vodafone.it/news/2011/05/07/dimmi-il-tuo-nome-e-ti-diro-se-avrai-successo/ basato su una ricerca di Linkedin), cercano esempi che possano confermarla (matching), mentre altri cercano di pensare a quando questa tesi sembra non reggere (mismatching) e cercano esempi che possano confutare questa tesi, per renderla vera.
Le domande che si fanno sono: quando questa cosa non è vera? quando non funziona? quando si è presentato x ma non y?
Tali modalità sono entrambe utili a dare completezza alla comprensione di un nuovo concetto. Nel procedimento di scoperta scientifica la seconda modalità, ovvero la propensione alla differenza, serve a garantire di non cadere nella trappola dell’autoconferma: siccome voglio credere che l’ipotesi sia vera, finisco per considerare solo i casi in cui essa è confermata! È solo se cerco di dimostrare che essa è falsa, che aumento la probabilità che la tesi sia vera, nel caso non ci riesca.
Facciamo un esempio: finché gli scienziati cercavano conferme ai fenomeni paranormali, ritenevano che essi accadessero effettivamente per opera di medium. Purtroppo, cercando la conferma, non riuscivano a vedere i trucchi che i medium utilizzavano e che venivano, invece, prontamente individuati dai prestigiatori chiamati in causa per verificare la correttezza degli esperimenti. Il procedimento scientifico prevede, infatti, che, dando per scontato che i medium utilizzino dei trucchi, si cerchi di smascherarli con tutti i mezzi possibili: il fenomeno paranormale che ne uscirà indenne avrà buona probabilità d’essere vero.
Trasportando questo pensiero nella vita di tutti i giorni, nel lavoro, nelle nostre credenze, beh, possiamo riuscire a non cadere nel tranello di concentrarci solo su alcuni elementi piuttosto che altri. Se io penso che la maggior parte dei “Pier Luigi” ha successo per via del proprio nome, c’è il rischio che io non mi accorga né di tutti i Pier Luigi che nella vita non sono riusciti ad arrivare, né che il successo, più che dal nome, dipende da tanti altri fattori. E soprattutto eviterò di dare un nome ai miei figli in base a queste credenze.