Estate 1971, Stanford University, California. Philip G. Zimbardo conduce uno degli esperimenti più impressionanti sull’assunzione di ruolo e l’organizzazione aziendale. In poche parole, Zimbardo recluta, dopo un’attenta selezione, 24 studenti definiti “equilibrati e maturi” che vengono divisi casualmente in due gruppi: guardie e carcerati. Il loro compito è quello di simulare la vita carceraria. L’esperimento si svolge nei sotterranei della Stanford University, trasformati per l’occasione in carcere, e nell’idea di Zimbardo dovrebbe durare circa un mese. Tuttavia l’esperimento non andrà come i ricercatori avevano previsto, infatti dopo pochi giorni i carcerati inizieranno a diventare aggressivi e le guardie reagiranno con atti di violenza e umiliazione.
La situazione percepita nei giorni seguenti, dove viene addirittura messo in atto un tentativo di evasione, fino a quando i ricercatori si accorgono che, da un lato le guardie consolidavano gli atteggiamenti sadici mentre dall’altro i prigionieri iniziano a mostrare segni di forti alterazioni emotive. A quel punto, dopo sei giorni, l’esperimento viene interrotto. Cos’è successo? Perché dei semplici studenti sono diventati così aggressivi in poco tempo?
Secondo Zimbardo, in questa situazione era avvenuto un processo di de-individuazione che induceva nelle persone una perdita di responsabilità personale, ovvero la ridotta considerazione delle conseguenze delle proprie azioni, indebolendo i controlli basati sul senso di colpa, la vergogna, la paura, così come quelli che inibiscono l’espressione di comportamenti distruttivi. La de-individuazione si sovrapponeva all’identificazione di ruolo, ovvero essere Guardia e non più individuo, implicando una ridotta consapevolezza di sé, e spostando il focus dalle proprie azioni a quelle compiute da sé stesso all’interno del gruppo.
Spostiamoci ora sulla realtà aziendale. La maggior parte dei lavoratori è identificata da un ruolo (“area manager”, “tecnico informatico”, “capo sala”, “responsabile risorse umane”, ecc…). Il ruolo, secondo una definizione di wikipedia, è “il comportamento che un individuo mette in atto nella società secondo le regole che questa gli impone”. Il ruolo comporta sempre delle aspettative di comportamento. Nel caso delle aziende più efficienti queste aspettative di ruolo sono ben declinate da job description e discusse ed affinate in diversi momenti di condivisione (equipe, riunioni, supervisioni). Tuttavia in molte realtà il ruolo è generico, portando il lavoratore a comportarsi in maniera da rispecchiare quelle che lui pensa possano essere “le aspettative” degli altri su di lui. E qui ci colleghiamo da un lato all’identificazione di ruolo (non sono Mario Rossi, ma il Direttore Commerciale), dall’altro alla messa in atto di comportamenti stereotipati (sono il capo QUINDI devo decidere da solo).
Come nell’esperimento di Zimbardo, ovviamente con le dovute proporzioni, da un lato è facile perdere la responsabilità personale (lo faccio non perché è giusto ma perché PENSO sia giusto per l’azienda), dall’altro è facile cadere nello stereotipo di quello che dovremmo essere dimenticando che un ruolo è definito da compiti, azioni, relazioni ed interazioni che vanno calibrate su ogni singola realtà lavorativa (essere il responsabile della formazione in una azienda di 50 persone o in una da 1000 è estremamente diverso). Da qui l’importanza di definire con chiarezza, personalizzare e adattare il nostro ruolo secondo sia le esigenze dell’azienda sia le nostre reali capacità e attitudini.