Siamo sicuri che uno dei modi migliori per generare motivazione in noi stessi e gli altri sia offrire ricompense? Gli psicologi sanno da tempo che le ricompense sono sopravvalutate. La carota, il partner storico del bastone, non è così efficace come siamo stati indotti a credere. Le ricompense funzionano in alcune circostanze, ma a volte risultano addirittura controproducenti.
Gli psicologi Mark Lepper e David Greene, rispettivamente di Stanford e dell’Università del Michigan, hanno voluto testare questo fenomeno. L’idea nasceva dal fatto che molti genitori tendono ad usare ricompense come leva per motivare i propri figli. I ricercatori hanno quindi reclutato 51 bambini in età prescolare di età compresa tra i 3 e i 4 anni. Tutti i bambini selezionati per lo studio erano bambini a cui piaceva disegnare. L’idea degli autori era vedere cosa sarebbe successo se fossero state proposte ricompense per eseguire un comportamento (disegnare) che veniva già fatto spontaneamente e con passione.
I bambini sono stati poi assegnati in modo casuale ad una delle seguenti condizioni:
– ricompensa attesa: in questa condizione ai bambini veniva detto esplicitamente che, se avessero partecipato all’attività di disegno, avrebbero ricevuto un certificato con un nastro ed una medaglia d’oro;
– ricompensa a sorpresa: in questa condizione i bambini ricevevano il premio come sopra, ma non veniva detto loro fino a quando non avevano finito di disegnare.
– nessuna ricompensa: i bambini in questa condizione non si aspettavano né ricevevano alcuna ricompensa.
Ogni bambino è stato invitato in una stanza e gli è stato chiesto di disegnare per circa 6 minuti. Poi, a seconda della condizione, è stata data loro la ricompensa o meno. Quindi, nel corso dei giorni successivi, i bambini sono stati seguiti attraverso specchi unidirezionali per vedere quanto avrebbero continuato a disegnare di propria iniziativa.
Quali sono stati i risultati? I bambini che erano stati assegnanti alla condizione di premio atteso mostravano un minore tempo trascorso a disegnare rispetto ai bambini nelle altre due condizioni (circa la metà del tempo), le quali non differivano tra loro. Cosa significa questo? Che i bambini che in precedenza disegnavano spontaneamente e con piacere, dopo essere stati premiati per la loro attività diventavano meno motivati. Inoltre dei “giudici” hanno valutato i disegni fatti dai bambini in attesa di un premio, ritenendoli meno esteticamente gradevoli di quelli fatti dai bambini nelle altre due condizioni.
Non sono solo i bambini a mostrare questo tipo di reazione alle ricompense: studi successivi hanno infatti mostrato un effetto simile anche negli adulti. In uno di questi studi un si è valutata l’effetto delle ricompense nella riuscire a smettere o meno di fumare. Un primo gruppo di fumatori ricevevo una ricompensa per gli sforzi, mentre un secondo gruppo non riceveva né ricompense né feedback. Il gruppo con la ricompensa ha fatto meglio all’inizio, ma a distanza di tre mesi i risultati sono stati peggiori di quelli riportati dal gruppo senza ricompense e senza feedback. Inoltre i gruppo che aveva ricevuto i premi tendeva a mentire di più rispetto alla quantità di sigarette che fumavano.
Revisionando 128 studi sugli effetti delle ricompense Deci e collaboratori hanno concluso che le ricompense tangibili tendono ad avere un effetto sostanzialmente negativo sulla motivazione intrinseca; anche quando sono offerte come indicatori di buon andamento, in genere diminuiscono la motivazione intrinseca per le attività interessanti. Le ricompense sembrano addirittura rendere le persone meno creative e tendono a peggiorare il loro problem-solving.
Allora, che cosa succede? La chiave per comprendere questi comportamenti risiede nella differenza tra motivazione intrinseca ed estrinseca. Quando facciamo qualcosa per noi stessi, perché ci piace o perché riempie un nostro profondo desiderio, siamo intrinsecamente motivati. D’altra parte, quando facciamo qualcosa perché riceviamo una ricompensa, come un attestato o del denaro, entriamo nell’ambito della motivazione estrinseca.
I bambini erano stati scelti perché amavano i disegni ed erano quindi già intrinsecamente motivati a disegnare. Erano bravi e per loro era un compito piacevole. Poi alcuni di loro hanno ottenuto una ricompensa per il disegno e la loro motivazione è cambiata.
Prima disegnavano per piacere, poi sembrava come se disegnassero solo per la ricompensa, la quale ha fornito una giustificazione per quello che stavano facendo (lo faccio per la ricompensa e non solo perché mi piace) e così, paradossalmente, la “performance” (tempo trascorso a disegnare e qualità) è diminuita.
Non solo questo, ma i premi possono essere “dannosi” anche perché ci ricordano obblighi e attività che siamo costretti a fare anche contro voglia. Ai bambini vengono date ricompense per finire di mangiare quello che hanno nel piatto, per fare i compiti o mettere in ordine le loro camerette. Così i premi diventano associati alle attività “spiacevoli” che non vogliono fare. Lo stesso vale per gli adulti: il denaro diventa associato con il lavoro ed il lavoro può essere noioso, monotono e poco piacevole. Così, quando veniamo pagati per qualcosa può capitare che, automaticamente, associamo quel compito a qualcosa di estremamente tedioso e poco divertente, anche quando non lo è.
Per questo motivo il gioco (o qualsiasi attività piacevole) può diventare lavoro quando veniamo pagati. La persona che amava la fotografia, la pittura, intrecciare cestini, suonare la chitarra o anche scrivere racconti o articoli, come inizia ad essere pagato per questo può improvvisamente trovare il compito noioso o poco motivante.
Ovviamente, a volte le ricompense funzionano, soprattutto se in realtà le persone non vogliono fare qualcosa. Ma quando le attività sono intrinsecamente interessanti, i premi possono danneggiare la nostra motivazione, minando il nostro talento naturale per l’autoregolamentazione.
Ma di come far “funzionare” le ricompense parleremo in un altro post…