La barca a vela è stata a lungo utilizzata nella formazione aziendale per costruire outdoor piacevoli con cui permettere ai partecipanti di analizzare le dinamiche manageriali e di lavoro in team e potenziale il team building. La mia esperienza diretta della vela mi sta portando ad esplorare questo mezzo come potente metafora di un altro aspetto che caratterizza le imprese: il navigare nella complessità e nell’imprevedibilità.
Se da un punto di vista classico l’esperienza di collaborazione dei membri di un team sotto la guida di un capitano era l’occasione per ragionare su un certo tipo di leadership, orientata al raggiungimento di un risultato, ad esempio vincere una regata, oggi possiamo pensare di spingere la metafora ben oltre questo orizzonte.
Se analizziamo una rotta immersa in una mappa dei venti, ci rendiamo immediatamente conto di una cosa: in ogni posizione, le vele sono sollecitate dal vento secondo un angolo e un’intensità diversi. Questo significa, ad esempio, che se vogliamo seguire una determinata rotta, dovremmo “aggiustare” le vele di mano in mano in un modo che non è prevedibile nel momento in cui partiamo. Per quanto oggi disponiamo di previsioni sufficientemente accurate, più scendiamo a livello locale, nel micro, i fattori di mare e vento sono fortemente influenzati da un sistema caotico e dunque imprevedibile. Non è che non si pianifichi nulla, ma la competenza chiave diventa quella di saper leggere il presente e sapersi adattare alle mutevoli condizioni. Se nei modelli classici di managerialità tutto era centrato sulla previsione e il controllo, quando guardiamo le organizzazioni come entità complesse che veleggiano attraverso le imprevedibilità di un mare complesso, diventa necessario sviluppare un nuovo set di competenze. Diventa essenziale possedere attitudini, competenze e un mindset molto simile a quelli del navigatore a vela.
Se nel primo punto ho sottolineato l’importanza della gestione ‘locale’, ora desidero allargare la cornice all’intera rotta. Può accadere che abbiamo pianificato di andare a Venezia per il week end ma che proprio il giorno della partenza cominci a soffiare bora forte sulla prua per cui la barca si troverebbe nell’impossibilità di seguire la rotta più corta. Cosa fare? Da puristi della vela possiamo escludere la risposta: usiamo il motore anche perché ci troveremmo un fastidiosissimo vento in faccia per ore. Le condizioni meteo possono influenzare potentemente tutto il nostro piano. Si può aspettare e partire in un altro momento, oppure possiamo addirittura decidere di cambiare rotta, raggiungere un’altra destinazione, ad esempio in Croazia, per poter sfruttare al meglio le condizioni. Può risultare disorientante questo approccio che sembra buttare a mare la teoria del perseguimento degli obiettivi che è andata così tanto di moda negli anni novanta e duemila. Ma del resto, non è forse a causa di un accanimento verso un obiettivo rigido e preimpostato una delle cause della mortalità delle aziende? E non è forse più importante che un’azienda continui a veleggiare, sapendo cambiare rotta all’occorrenza, piuttosto che ostinarsi contro vento, senza più avanzare?
La barca a vela insegna anche in modo immediato qualcosa di importante sul funzionamento del gruppo e sull’esperienza di team building. E’ fin troppo scontato sottolineare che l’adattamento della barca non è solo condizionato dalle variabili esterne ma anche da quelle interne: la preparazione dei diversi membri dell’equipaggio, la loro esperienza, reattività, la loro propensione ad essere attivi e collaborativi, la paura che qualcuno può avere delle condizioni di navigazione e i motivi che li spingono ad essere sulla barca. Ma c’è qualcosa di interessante che permette di operare un altro piccolo rovesciamento al modello classico che vedeva il capitano della barca come colui che comanda e i membri del team che eseguono in modo organizzato, competente e ben coordinato. Vorrei illustrare questo punto con un aneddoto tratto da un’esperienza reale di team building. Una barca si appresta a rientrare nel porto di Talamone; fuori dalla baia ammaina le vele e accende il motore. Il capitano al timone vede uscire del fumo nero dal vano motore. Tutti corrono sopra coperta perché di sotto non si respira più. Il capitano, con esperienza ventennale, non si era mai trovato in una situazione simile. Agitato più del mare, contatta l’armatore che gli ha affittato la barca per capire come fare. Questo gli dice di calmarsi e di aprire il vano motore per vedere cosa stia succedendo. Il capitano, per superare il rumore del vento e delle onde, urla a qualcuno di imprecisato di aprire il vano motore. A quel punto, un membro dell’equipaggio, l’ultimo per esperienza, appena patentato, urla a tutti di fermarsi. Aveva ancora fresco nella mente quel quiz della patente nautica dove si dice che in caso di incendio al motore non si deve per nessun motivo aprire il vano per evitare che l’ossigeno irrompa e faccia divampare le fiamme. Utilizzano un estintore sparando la schiuma da un foro apposito e il fumo cessa di uscire. In questo caso, una spontanea leadership diffusa, come si potrebbe chiamarla, ha fatto sì che si evitasse la tragedia. Quando veleggio e sono il capitano della mia barca, può essere che io abbia a bordo una persona più esperta di me; un’altra può esserlo meno ma magari conoscere molto bene la zona che stiamo navigando; anche il principiante può accorgersi di qualcosa e segnalarmelo. Ognuno può portare il suo contributo se la rigida impostazione gerarchica lascia il posto ad una relazione basata sull’apertura e ascolto. In quante organizzazioni si respira davvero un clima in cui tutti si sentono liberi di esprimere il loro punto di vista senza paura di pagare delle conseguenze?
La vela offre un’esperienza di profondo benessere. Ho toccato con mano questo aspetto un pomeriggio invernale quando uscii in solitaria per provare delle regolazioni nella mia barca. Non avevo voglia di uscire perché ero di umore nero a causa di un cliente che si era comportato in modo veramente maleducato e irrispettoso. Stavo rimuginando su questo problema dalla mattina per capire come risolverlo; mi si era chiuso lo stomaco per cui all’uscita dal porto avevo anche i crampi della fame. Fuori dal porto mezzo miglio cominciai a notare che tutto il mio corpo si stava rilassando. Lo sciacquio del mare sullo scafo, il vento fresco sul viso. La mente anche si rilassava: i pensieri scivolarono via, smisi di accanirmi su quel problema e dopo neanche un’ora dalla partenza, la soluzione comparve dal nulla. Porges, ideatore della terapia polivagale, elenca infatti una serie di esperienze corporee che portano il nostro sistema nervoso a quella che è definita ‘via ventro-vagale’: uscire da uno stato di stress per entrare in quel rilassamento che consente alla nostra mente di aprirsi alla creatività e alle nostre emozioni di aprirsi alla relazione con gli altri. Tra le cure elencate da Porges vi è il contatto con la natura, con il verde e l’azzurro, ascoltare il rumore dell’acqua; e vi è anche il rilassamento degli occhi che avviene quando scrutiamo l’orizzonte. Anche questo è un tema fondante della relazione di un’organizzazione con la complessità: come possiamo trovare soluzioni se siamo intrappolati in una visione a tunnel e una logica lineare tipica dello stato di emergenza? E come possiamo creare un legame forte con le altre persone quando i nostri sistemi di allarme sono attivati? Il benessere non è solo un bene in sé, è anche una condizione fondamentale perché le persone possano essere nello stato ideale per adottare i comportamenti più efficaci espressi nei punti precedenti. La barca a vela ti fa sperimentare in modo immediato questo cambiamento di stato. Per questo motivo decisi di spostare la sede della mia azienda in barca e da allora le riunioni cerchiamo di farle in navigazione. Certo, lo so, non è possibile per le aziende usare la barca costantemente, ma vi sono tante pratiche che possono essere portate nella quotidianità. Quante riunioni cominciano con una pratica di respiro e con una defocalizzazione dello sguardo dai device digitali? In quante attività che richiedono concentrazione le persone sono invitate a prestare ascolto ai segnali del proprio corpo e rilassare lo psoas e le tensioni al collo? Queste pratiche, in realtà confermate ampiamente dalle neuroscienze, sono ancora oggi viste da molti come bizzarrie new age ma l’impatto che si sperimenta in navigazione è così concreto e dà risultati così immediati che è poi difficile tornare indietro.
Se pensiamo al tempo in cui Magellano partì per cercare il famoso passaggio verso Ovest senza avere mappe se non quelle dei territori già conosciute; quando ogni foce di fiume, soprattutto se grande come quella del Rio delle Amazzoni, veniva esplorata per capire se davvero fosse il famoso passaggio al Pacifico, ci rendiamo conto che il viaggio delle nostre aziende, per certi versi, è molto più simile a quell’esperienza che a quella che si ha oggi con cartografie perfette e satellitari. Chi avrebbe mai detto, solo tre anni fa, che tutta la nostra vita sarebbe stata improvvisamente caratterizzata da lock down, mascherine, obblighi vaccinali con conseguente perdita del diritto al lavoro, spaccatura dell’opinione pubblica in due macro fazioni, rincaro e scarsità delle materie prime ecc. Se pensiamo al mondo che abbiamo oggi e a quanti eventi che sono accaduti erano inimmaginabili dai più solo tre anni fa, sembra davvero che volenti o nolenti, il nostro navigare sia davvero come quello di Magellano. E se così è, forse conviene recuperare anche consapevolmente quello spirito e quelle abilità che mettevano i grandi esploratori nelle condizioni di avere successo. Tutti oggi parlano di innovazione ma c’è spesso un certo sgomento nel mollare la presa dei territori conosciuti, per inoltrarsi nel nuovo. Ed è comprensibile: nel nuovo possiamo trovare l’eldorado come cannibali che ci cucinano. Eppure come può esserci innovazione se chiediamo alle nostre persone di bordeggiare lungo rotte già conosciute di obiettivi prefissati?
Questi aspetti che ho cercato di sottolineare non annullano del tutto quello che sappiamo del management tradizionale. Non è che creare uno spazio di ascolto e avere una leadership diffusa significhi rinunciare a qualsiasi gerarchia. Le due cose possono convivere nella misura in cui la gerarchia è governata con flessibilità.
Allo stesso modo, avere spirito di avventura e apertura verso l’ignoto non significa partire allo sbaraglio senza avere in stiva dei panni pesanti, nel caso ci dovessimo spingere molto a Nord. Così come il navigare adattandosi alle condizioni meteo e alle risorse dell’equipaggio, non significa necessariamente non avere obiettivi; e definire la rotta migliore in base alle condizioni non significa non pianificare nulla. Diciamo che questa prospettiva aggiunge possibilità piuttosto che sottrarle.
Quello che la vela insegna, non solo in materia di team building, è che se vogliamo navigare nella complessità dobbiamo sviluppare una maggiore flessibilità, avere obiettivi sì, ma anche una costante attenzione nella lettura dell’ambiente circostante; sapere tenere il timone in rotta sì, ma anche non rimanere ottusamente vincolati a quella; una curiosità costante è certamente di grande aiuto; anche il coraggio di cambiare, di lasciare il noto per perseguire qualcosa che sentiamo essere giusto.
Un’organizzazione, come una persona, così come un team, possono trovarsi più volte nel corso della sua vita di fronte a quel punto critico in cui tutto intorno a te e dentro di te ti sta dicendo di cambiare; la vela è un’ottima metafora di tutto questo.
A questo proposito ricordo l’esperienza di Moitessier, padre dei navigatori in solitaria attorno al mondo. Aveva accolto a malincuore l’invito a partecipare ad una regata attorno al mondo; certo, se l’avesse vinta avrebbe ottenuto gloria e tanto denaro; appariva folle non farlo! Ma in cuor suo sentiva che quella non era la sua storia e quasi al termine della gara, all’altezza di Città del Capo, anziché puntare verso la meta, lasciò ad una petroliera un messaggio da recapitare agli organizzatori della regata: “Continuo senza fermarmi verso le isole del Pacifico perché sono felice in mare e forse anche per salvare la mia anima”.
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Andrea Magnani
CEO & Founder LAM Consulting srl Sb