L’approccio alla formazione Agile, nato in ambito informatico, è stato più recentemente adottato come paradigma per descrivere nuovi modelli organizzativi. Dal nostro punto di vista offre spunti molto interessanti per rendere più efficaci ed efficienti i progetti formativi: in questo articolo vediamo perchè.
Quante volte abbiamo sentito definire un progetto formativo “troppo impegnativo” oppure “interessante, ma non rientra nel nostro budget di quest’anno” o ancora “è un bel progetto ma non possiamo allontanare le persone dal lavoro per tutto quel tempo”, come se la formazione fosse qualcosa di scollegato dal lavoro?
Queste rappresentazioni, assai diffuse, scaturiscono da un approccio che tende a costruire un progetto complessivo, spesso molto impegnativo sia dal punto di vista economico che organizzativo, per rispondere ad un problema aziendale.
Se volessimo affrontare il tema dello sviluppo commerciale in modo completo, dovremmo disegnare un intervento formativo su un metodo convincente che affronti le varie fasi della vendita, dal pre al post. Dopodiché, cercheremmo di compattare un programma di 170 slide in due giorni. Scelta che non rispetterebbe i principi dell’apprendimento degli adulti e di dubbia efficacia. Inoltre, sarebbe opportuno inserire un percorso manageriale sui capo area, che non hanno avuto la possibilità di sviluppare competenze manageriali, essendo stati scelti tra i venditori con seniority.
La filosofia che fa da sfondo al nostro approccio (Learning Action-plan Matrix) è stata fin dall’inizio quella della ricerca-azione. Questo modello, che potremmo definire “agile”, consiste nel disegnare un primo intervento pilota a partire dall’analisi dei fattori causali che generano i problemi disfunzionali e di cui misuriamo i risultati in base ai quali progettiamo un secondo step.
Per identificare la priorità su cui agire usiamo tre possibili criteri:
Qualunque sia il primo step, il punto fondamentale è che il secondo viene deciso in virtù dei risultati rilevati. Per dirla in termini cibernetici, è la reazione del sistema alla modifica che apportiamo che fornisce ulteriori informazioni sul sistema stesso, determinando come andare avanti. Cosa può accadere dopo il primo step?
Nella migliore delle ipotesi che si scatenino cambiamenti sufficienti per raggiungere l’obiettivo, e in questo caso si è compiuto un miracolo di efficientamento.
Oppure non accade nessun miracolo, ma si delineano gli step successivi, ognuno dei quali viene progettato per rispondere alle criticità emerse dalla analisi compiuta dopo il primo intervento. In questo modo le azioni diventano molto più precise, producendo un’ottimizzazione dei costi.
Non possiamo affermarlo semplicmente perché dipende dal progetto di cui stiamo parlando.
Il punto è che se al termine di un determinato step, si decide di aggiungere un percorso ulteriore, è perché quest’ultimo è risultato necessario dall’analisi fatta.
Per contro, dovremmo chiederci cosa avrebbe prodotto un percorso formativo completo, realizzato senza tenere conto dei cambiamenti che si sono verificati in itinere.
L’idea è che nel processo agile i costi siano ridotti al minimo per poter ottenere un certo risultato, ma non meno di così.
Il primo è di natura culturale: nel paradigma del controllo top down, ci si aspetta di avere un preventivo complessivo di spesa.
Questo limite si supera capendo invece che l’approccio agile presenta dei vantaggi in termini di ottimizzazione e, dunque, offre un maggiore controllo in itinere, derivante da una lettura della realtà più precisa. Comunque è possibile stabilire un budget della formazione orientata ad un certo obiettivo e si interrompe l’intervento quando si raggiunge quel limite.
Il secondo è legato ad aspetti organizzativi e ad un modo di concepire la formazione che scaturisce dall’impostazione dei fondi che la finanziano: spesso per ottenere i finanziamenti occorre presentare progetti costruiti in maniera tradizionale, in cui sono descritte le attività dell’intero piano, con un numero preciso di partecipanti e un monte ore definito a priori.
A questo problema abbiamo cercato una soluzione disegnando dei progetti come un insieme di contenitori formativi in cui sono definiti il numero di persone coinvolte e di giornate, mentre la microprogettazione è stata realizzata in base alle informazioni emergenti.
Il terzo limite è costituito dal fatto che il processo di misurazione dei risultati dovrebbe essere gestito internamente all’azienda e non dalla società esterna che eroga l’intervento, anche se è fondamentale che vi prenda parte direttamente.
Per evitare possibili distorsioni, si possono trasferire all’azienda le competenze necessarie.